Intervista ad Antonella, nostra associata meravigliosa, che ci insegna che “il cuore di una mamma è elastico, solido, tenace ed infinito” una definizione emozionante e più che mai calzante, sempre ma in caso di malattia di un figlio, ancora di più!
– Come si affronta in famiglia la malattia?
Il termine Distrofia facio-scapolo-omerale è entrata nella nostra casa cinque anni fa.
Mio figlio ha 21 anni, il mondo lo attende e lo sfida: è un combattente la vita gli ha chiesto tanto e subito dalla nascita. Ha sempre praticato ginnastica artistica da quando ho memoria di lui; la sua specialità il volteggio e le parallele.
Ho adeguato il mio respiro e la mia ansia ai suoi salti, un piccolo colibrì con una resistenza da felino, per lui è sempre stato naturale scalare la rete da arrampicata al parco e appendersi all’ingiù come i pipistrelli, osservando il mondo da una nuova prospettiva.
In pochi mesi i dolori muscolari che attribuivamo alla crescita sono aumentati di frequenza ed intensità, il braccio destro non riusciva più a sollevarlo, incontrare un ortopedico sportivo fu la nostra prima decisione. Leggendo le espressioni dei volti e le frasi non concluse degli specialisti abbiamo capito che c’era altro e che non fosse semplice, una risonanza magnetica completa mise in chiaro la realtà: FSHD.
Iniziarono le mie ricerche in rete, le strutture pubbliche e/o private che avrebbero potuto darmi risposte, la mia lotta aveva avuto inizio e non ammetteva arresa ma soluzioni.
In famiglia non affrontiamo con frequenza l’argomento, la sua presenza si palesa in gesti quotidiani, come prendere un piatto o un bicchiere posto in alto, modificare la leva del getto dell’acqua nella doccia, nel prendere pantaloni e/o giacche appese in alto nell’armadio, nell’avere difficoltà a indossare le scarpe perché l’alluce resta contratto, nel non riuscire a sollevarsi dal letto frontalmente perché i suoi forti e splendidi addominali non ci sono più.
– E’ stato utile l’incontro con l’Associazione FSHD Italia Onlus?
Annalisa, sembra il nome di un fiore ma ha l’animo di un angelo, un volto ancora sconosciuto ma un’ora al telefono con lei, il mio sfogo, il mio pianto e l’inizio di un percorso che mi ha incluso in una famiglia con la quale condividere esperienze simili ed essere capita nel profondo.
– Come è affrontare la quotidianità?
La nostra attuale filosofia è trovare la soluzione al problema quando si manifesta, se si può evitare quell’azione perché genera difficoltà e dolore sostituirla con un’altra per ottenere il risultato o l’obiettivo prefissato.
– Parlate tra di voi, in generale della malattia?
Quando è lui ad affrontare l’argomento lo ascoltiamo e ne parliamo, non lo evita ma lo esorcizza ignorandolo, sono le sue difese per affrontare il suo essere adolescente e quando impunta il piede sinistro camminando con gli amici è la strada a non essere ben livellata.
– Che rapporto hai con tuo figlio?
Quello di un genitore esigente che puntualizza e anela il suo meglio, desidero che raggiunga i suoi obiettivi e le sue aspirazioni, benché sia figlio unico ogni conquista va guadagnata e nonostante i borbottii e gli sguardi sostenuti ha il mio cuore sempre con sé, il mio pensiero lo segue ogni istante, la sua autonomia e indipendenza sono motivo di orgoglio anche se lo porta sempre un pezzettino lontano dal dipendere da me.
Non voglio abbia rimpianti per non aver potuto fare oggi qualcosa di normale o estremo come fare il sub, volare su un ultraleggero, lanciarsi con un paracadute, il mio cuore perde sempre qualche colpo al solo pensiero ma è il cuore di una mamma è elastico, solido, tenace, infinito.