In un’intervista intensa e ricca di emozioni, Antonio Condorelli ci racconta la nascita di Piano Oltre, il suo primo album di composizioni originali. Un progetto che non è solo un atto d’amore verso la musica, ma anche un potente messaggio di speranza e resilienza. Vicepresidente di FSHD Italia, Antonio trasforma la sua esperienza personale con la distrofia facio-scapolo-omerale in una fonte di ispirazione collettiva, invitando tutti a “andare oltre” i propri limiti attraverso la forza della solidarietà. Scopriamo insieme il suo percorso, le sfide superate e il sogno di rendere la musica un ponte verso un futuro migliore.
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Come sono nate le musiche dell’album “Piano Oltre”? Quando le hai scritte?
Non è una domanda semplice a cui rispondere, perché alcune di queste musiche sono nate in tempi così lontani che non sono neppure in grado di definire con precisione, ma certamente durante la mia adolescenza, altre, invece, solo pochi mesi fa. Non a caso, in un primo momento, avevo pensato di intitolare l’album con “Le musiche della mia vita”.
Come mai hai cambiato idea?
Perché, pensandoci su, anche se poteva avere un senso, mi è sembrata un’idea riduttiva e limitante rispetto al significato che, nel frattempo, avevo deciso di dare a questo lavoro: non solo un’esperienza intima e personale, ma anche e soprattutto un messaggio universale di unione, solidarietà e resilienza. Tuttavia, devo confessare di avere, probabilmente, un problema particolare con i titoli: pensa che la maggioranza di queste musiche sono rimaste prive di titolo per decenni!
E come hai fatto ad identificarle in tutto questo tempo? Quando e come ti sei “sbloccato” sui titoli?
In realtà non c’è mai stato, sino a poco tempo fa, alcun motivo di identificare queste musiche, perché le ho sempre suonate in contesti personali o, al massimo, familiari, mentre la necessità di avere un “titolo” da depositare (ad esempio in SIAE) è nata proprio con l’avvio di questo progetto, condizioni che mi hanno costretto anche a “sanare” questa storica mancanza. Ho utilizzato il termine costretto, proprio per sottolineare quanto sia stato difficile per me anche questo passaggio: ho risolto suonando e risuonando, ascoltandomi centinaia di volte e ripercorrendo ogni volta le storie del mio vissuto dietro ognuna delle note ed accordi eseguiti … anche se non sono riuscito a catturare proprio tutto, sono comunque soddisfatto dei titoli che scelto, perché portano con sé le emozioni per me prevalenti.
Dunque si tratta di brani inediti che non sono mai stati eseguiti in pubblico?
Si, direi che non sono mai stati eseguiti “in pubblico”, con un’unica eccezione e, precisamente, il 20 giugno 2017, giornata nazionale e mondiale della Distrofia Facio Scapolo Omerale, quando proprio l’Associazione FSHD Italia, per il tramite di Annalisa Alimandi, mi invitò a suonare in un breve spazio all’interno di una serie di eventi, scientifici e non, legati alla malattia organizzati a Roma al Policlinico Gemelli.
Cosa ricordi di quella giornata?
Ricordo un po’ di apprensione perché, a parte il fatto che non sono un musicista professionista, a mio parere, non si riesce mai a sentirsi veramente “pronti” per eventi di questo tipo e, dunque, occorre avere quel pizzico di “sana incoscienza” per lanciarsi in queste “avventure”. Nella fattispecie, il programma, dopo l’esecuzione di alcuni miei pezzi da solista, prevedeva che dovessi anche accompagnare al pianoforte Roberta Zancolla, che di mestiere fa la cantante, in alcuni brani che avevamo scelto insieme (Let it be, Caruso ed il cielo in una stanza), ma mai provato prima di quel giorno. Per questa ragione, tutta la mia attenzione era concentrata su questi pezzi, quasi da improvvisare, soprattutto per non mettere in difficoltà, con miei eventuali errori, proprio Roberta…
Come andò alla fine?
Tutto sommato bene, anche se, in effetti non sta a me dirlo, forse bisognerebbe chiederlo a lei…
E cosa ricordi dell’esecuzione dei tuoi brani?
E’ successa una cosa strana: mi ero da poco seduto al pianoforte e stavo prendendo un po’ le misure (posizione, altezza) per provare lo strumento che non conoscevo e mi sono lasciato andare suonando, senza pensare nemmeno un istante a dove mi trovassi ed in quale contesto. Quando mi sono sentito “a posto” e mi sono fermato, mi sono sentito accogliere, con mia grande sorpresa, da un caloroso e spontaneo applauso del pubblico seduto (e di tanta gente che passava per la hall del Gemelli e che si era fermata) e che, mi sono improvvisamente reso conto, fosse lì con me. Pensa che questa situazione ha sorpreso anche Giulia Giannotti, figlia della nostra presidente di allora Liliana Ianulardo, che presentava le persone che via via intervenivano nei vari eventi che si susseguivano: nel mio caso, la presentazione è venuta dopo questo applauso…
Pensi che sia stato un evento importante rispetto nel percorso che ti ha condotto fino ad oggi?
Difficile dirlo, ma certamente quell’applauso mi ha fatto capire in un istante che quella musica che, forse fino quel momento, avevo sentito come “solo mia”, in realtà avrebbe potuto essere ascoltata, forse anche apprezzata e vissuta ed, in qualche modo “fatta propria”, da chiunque… Lo diceva anche il grande Maestro Ezio Bosso che “la musica è di tutti” ed io, nel mio piccolo, oggi posso dire di essere riuscito, dopo un lungo cammino, a fare mio questo Suo meraviglioso insegnamento.
Come si fa a trasformare una musica “solo tua” in una musica “per tutti”?
La prima cosa da fare è certamente scriverla… ma anche questo, nel mio caso, non è stato facile, e ti racconto perché… Io mi definisco prevalentemente un autodidatta della musica, avendo avuto il dono (non il merito) di un notevole “orecchio musicale”. Questa dote mi ha permesso, nel tempo, di suonare molto rapidamente e senza molto studio più o meno tutto quello che desideravo, seppure con molte semplificazioni ed approssimazioni. Tuttavia, questo a me è sempre bastato, perché per me suonare è sempre stato un atto di gioia, divertimento e libertà, ben lontano dal peso, a volte frustrante ma certamente indispensabile, dello studio rigoroso e canonico di uno strumento musicale. Ho studiato anche io pianoforte, ho imparato anche a leggere la musica, ma credo di non avere mai suonato una sola volta nella mia vita leggendo uno spartito, quindi figurati se avevo mai pensato di “scrivere” le mie composizioni… Infatti, ho sorriso quando mi hai rivolto la prima domanda e volevi sapere quando avevo “scritto” le musiche dell’album, dicendo a me stesso “iniziamo bene”…
A questo punto però, sono davvero curiosa e mi dovrai spiegare come hai fatto…
Nel modo migliore e più universale e che è applicabile al 100% delle difficoltà che incontriamo nel corso della nostra vita: ho chiesto aiuto al prossimo. Nella fattispecie, sono stato molto fortunato, perché ho incontrato il Maestro Davide Castellana, con cui è nato uno straordinario rapporto di collaborazione, che mi ha aiutato a scrivere questi brani. E’ stato un lavoro lungo, circa sei mesi, e penso piuttosto impegnativo anche per Lui, perché, immagino, di essere stato un allievo un po’ indisciplinato… Abbiamo lavorato partendo da mie esecuzioni fatte e rifatte tante volte, ma anche con vecchie registrazioni: temo di non aver reso semplice il lavoro perché penso di aver suonato cento volte la stessa cosa in cento modi diversi… mi sento davvero di doverlo ringraziare non solo per la grande professionalità, ma anche per l’enorme pazienza che ha avuto nei miei confronti. Il problema vero era legato al fatto che queste musiche, in realtà, sono cambiate con me, perché io sono cambiato fisicamente ed interiormente in tutti questi anni… oggi, superati i cinquant’anni, non riuscirei più ad eseguirle come le suonavo a vent’anni, ma era necessario scrivere un solo spartito musicale, che rispettasse l’origine e la storia di ogni brano, pur rendendolo ad oggi per me eseguibile. Una mediazione non sempre facile, ma alla fine ci siamo riusciti.
Da cosa nascono queste difficoltà? E’ la malattia che ti rende difficile suonare?
E’ una domanda a cui potrebbe sembrare ovvio dare una risposta affermativa, ma, a mio avviso, è doveroso fare qualche approfondimento. Certamente, la malattia ti toglie qualcosa, forse molte cose, ma è anche vero che, anche indirettamente, qualcos’altro ti viene restituito, proprio come, più genericamente, avviene nel corso della vita di ognuno di noi. E’ indubbio, infatti, che le mie attuali capacità fisiche mi impediscano oggi di camminare come anche di suonare come quando avevo vent’anni, ma direi che, allo stesso modo, è quasi certo che, se non fossi stato malato, non sarei qui con te a fare questa intervista e, molto probabilmente, anche questo album di musica di cui stiamo parlando non sarebbe mai esistito. La vita è un continuo alternarsi di conquiste e di perdite, nella prima parte (infanzia, adolescenza, giovinezza) prevalgono le prime, poi, per tutti, chi prima chi dopo, iniziano a prevalere le perdite, a causa del naturale invecchiamento: è un ciclo inevitabile, ma la maggior parte delle persone non lo percepisce. Questa percezione è invece molto chiara per chi è malato come me, perché ti accompagna sempre una sorta di costante “campanello d’allarme”, dovuto alla drammatica certezza, che nasce dalla consapevolezza del quotidiano, che il tuo domani sarà più difficile dell’oggi che, a sua volta, è più difficile del tuo ieri: è questo “campanello” che mi ha sempre spinto a fare tutto quello che è possibile fino a quando è possibile…
Parli di cose di grande interesse, anche ben al di là della musica, ma, concretamente: come è possibile riuscire a superare difficoltà fisiche così importanti?
Con una grande capacità di adattamento ed una voglia inesauribile di trovare soluzioni sempre nuove e sempre migliori. Certamente occorre mettere nel conto anche qualche rinunzia, ma bisogna imparare a vedere le cose che avvengono con serena consapevolezza e positività. Un esempio concreto? Una sedia a rotelle non deve essere vista come immagine della propria limitazione, ma, piuttosto, come uno straordinario strumento per continuare a muoversi in piena libertà. Non è un caso se, nella copertina dell’album, per la quale devo sentitamente ringraziare l’amica Bice Guastella e lo staff di Industria01, siano accostati un pianoforte ed una sedia a rotelle, entrambi intesi come generatori di quel flusso di libertà, di quel volo che va ben oltre i limiti dell’immagine stessa.
E se tornassimo alla musica? Come hai fatto in questo caso?
In questo caso è successa una cosa per me davvero incredibile, quasi una magia. Per circa quarant’anni ho suonato di tutto senza mai leggere una nota ed ho composto numerosi brani senza avere la minima idea di come si potessero scrivere… Ricordi la difficoltosa genesi della scrittura degli spartiti di cui ti ho raccontato poco fa? Dopo questa esperienza, mi è capitato un processo esattamente opposto: ho scritto (e sottolineo scritto) diversi nuovi brani, tutti inseriti nell’album, direttamente sul pentagramma e molti di questi mettono davvero a dura prova le mie capacità di esecuzione. In estrema sintesi, ed esagerando un po’: prima riuscivo a suonare ma non sapevo scrivere, ora so scrivere ma faccio fatica a suonare. Ma la musica è sempre con me, anche se in modo diverso e, per certi versi, nuovo ed ancora più potente, in quanto totalmente libero da qualsiasi limitazione.
Incredibile davvero… Ma come hai fatto a registrare i brani?
Ho fatto tutto “in casa” ma ho dovuto imparare moltissime cose, affacciandomi su interi universi della conoscenza che ritengo, con molto realismo, di avere appena sfiorato, per acquisire solo l’essenziale che poteva aiutarmi nella realizzazione di questo progetto; in sintesi, ho studiato tanto su libri, mediante corsi on line e mi sono confrontato con tante persone che mi hanno aiutato. Più in dettaglio, per le esecuzioni, ho utilizzato pianoforti e tastiere digitali e numerosi software, che mi hanno permesso di fare correzioni ove necessario e, soprattutto, di tagliare le parti suonate male nelle numerose registrazioni eseguite e di mettere insieme le parti migliori da conservare con veri e propri “montaggi”.
Hai finalmente parlato di progetto… come nasce una idea di questo tipo e come si è sviluppata?
In generale, penso che quasi tutte le azioni dell’uomo partano dal desiderio e, da questo, si possa passare abbastanza facilmente ai sogni; talvolta, i sogni migliori possono anche diventare idee, ma la trasformazione di una idea, anche ottima, in un progetto è una cosa più difficile, perché ci vuole tanto impegno e perseveranza e, soprattutto, è molto difficile pensare di fare tutto da soli ed è dunque necessario trovare le persone “giuste” per acquisire il supporto che occorre, in misura tanto maggiore quanto più è ambizioso il progetto stesso. Inoltre, penso che sia fondamentale applicare una regola che mi ha insegnato mio padre che, guarda caso, è ingegnere come me: ogni progetto deve avere obiettivi e tempi ben definiti, perché diversamente rimane un sogno o, al massimo, una idea. In altri termini, bisogna avere il coraggio di dare un inizio e soprattutto una fine ad ogni cosa, perché il rischio di rimandare sempre, anche se con lo scopo di fare di più o di fare meglio, in realtà ci allontana dal traguardo: è preferibile, una volta raggiunto un livello soddisfacente, portare a compimento il progetto per avviarne un altro, piuttosto che continuare ad ottimizzare e migliorare sempre lo stesso…
Vale per tutto o vale solo per la musica?
Penso che valga per tutto, e dunque anche nella musica… Pensa che quando ero adolescente ed iniziavo, forse anche inconsapevolmente, a comporre, mi ritrovavo ad eseguire decine e decine di motivi di mia invenzione, ma nessuno di questi aveva un inizio ed una fine… Fu proprio mio padre allora, grazie ad un affettuoso ed intelligente espediente strategico (una scommessa), a spingermi verso questa logica, grazie alla quale queste decine di motivi, hanno assunto la dignità di veri e propri brani musicali con un senso compiuto… Molto probabilmente, senza questa importante azione educativa, oggi non saremo qui a parlare di questo progetto…
Tornando in dettaglio al progetto “Piano Oltre”… come è nato?
Penso che, per quanto possa sembrare strano, il progetto sia nato in primo luogo dalla paura: la paura di non riuscire più a suonare la mia musica e, dunque, che questa si perdesse, con me e con le mie difficoltà via via crescenti. Da questa paura, che si trasformava giorno dopo giorno in una dolorosa consapevolezza, si è con il tempo sviluppata in me quella “sana incoscienza” a cui facevo cenno poc’anzi: all’inizio non ritenevo che le mie musiche fossero degne dell’attenzione altrui, ma, successivamente, ho capito che non stava a me prendere questa decisione, ma, piuttosto, al prossimo, e questo proprio per le ragioni che abbiamo già ricordato: la musica è di tutti. Sarebbe stato da parte mia un grave errore non “liberare” queste melodie rendendole disponibili per tutti coloro che vorranno ascoltarle ed, in qualche modo, acquisirle facendole proprie e, per questo, mi sono attivato per scriverle e registrarle.
C’è stato un momento preciso in cui hai sentito il bisogno di unire musica e solidarietà?
E’ stato un passaggio successivo scaturito con naturalezza, quasi automaticamente. Partendo proprio dalle limitazioni che ho descritto prima, desideravo dare un significato ed una finalità importante per questo lavoro: da qui l’idea di trasformare la mia musica in uno strumento disponibile per tutti per contribuire a sconfiggere, insieme, proprio la malattia che è causa di tanti impedimenti per me e per moltissime persone come me. Ovviamente, d’intesa con la nostra presidente Caterina Dietrich e con tutto il consiglio direttivo, ho subito individuato l’Associazione come sede ideale per dare il più ampio sviluppo a questo messaggio.
A proposito di messaggi, il titolo del disco è molto evocativo. Cosa significa per te “andare oltre”?
Andare oltre, per me, significa imparare a non fermarsi davanti alle difficoltà ed a concentrarsi, piuttosto, sulla ricerca di adattamenti, compensazioni o alternative. L’importante è continuare ad andare avanti, non la velocità. Nel titolo dell’album questo si esprime anche mediante la libera interpretazione che si lascia della parola “piano”, che può essere intesa sia come sostantivo (rievocato dall’immagine della copertina con lo strumento musicale) ma anche come avverbio da legare all’idea di superamento e, dunque, di “moto” insita nella parola “oltre”. Mi piace pensare anche alla parola “piano” intesa come “strategia, progetto” per andare oltre, messaggio, anche questo, che potrebbe apparire un po’ nascosto, ma che, invece, spero possa essere recepito dalla comunità con tutta la sua potenza.
Come si riflettono questi concetti nelle tue composizioni? Quali emozioni o immagini hai voluto trasmettere attraverso le tracce del disco?
Non è facile dare una risposta, perché, in realtà, non ho mai pensato a questi brani per trasmettere emozioni particolari al prossimo, ma, nel corso della mia vita, mediante essi, sono riuscito a “catturare”, quasi come scatti fotografici, tanti miei differenti stati d’animo e sentimenti: gioia, entusiasmo, desideri ma anche paure, sofferenze e delusioni. Non sono sicuro che questi brani inducano in chi li ascolta gli stessi stati d’animo che provo io ma, in fondo, penso che questo non sia così importante: dal mio punto di vista, è anche affascinante pensare che ciascuno “senta” qualcosa di personale e di differente nella stessa musica.
Com’è stato il processo creativo di questo progetto? Hai seguito un percorso lineare, oppure le idee sono nate in modo spontaneo e disordinato?
Se ti riferisci alla composizione vera e propria dei brani, direi in modo spontaneo e probabilmente anche disordinato, nel senso che non ho seguito alcun metodo particolare, non conoscendo la teoria e le regole del settore. Più in dettaglio, posso dirti che ogni brano è un po’ storia a sé, ma, in generale, quando mi viene in mente un nuovo motivo o melodia lo registro immediatamente perché non mi sfugga: anni fa usavo le cassette magnetiche, oggi faccio la stessa cosa con gli strumenti digitali. Con il nuovo motivo in testa, mi adopero dunque per elaborarne sviluppi e variazioni, introduzioni e chiusure, finché il brano non assume una forma compiuta. Non è una regola assoluta, ma, solitamente, è un processo relativamente veloce, che può durare non più di qualche giorno: basti pensare che ben quattro dei dieci brani del disco sono stati scritti tra la fine di ottobre e la fine di dicembre del 2024.
In questo percorso, ci sono state esperienze personali o incontri significativi che ti hanno ispirato?
Amo profondamente la musica in molti suoi generi, dalla classica al pop ed al rock: ritengo che, seppur senza piena consapevolezza, tutto ciò che mi piace ascoltare mi abbia, in qualche misura, influenzato, ma non riesco ad individuare una vera e propria fonte di ispirazione da questo punto di vista, se non le emozioni personali che ho già descritto prima. Per quanto riguarda gli incontri, sono stati così numerosi che sarebbe impossibile ricordarli tutti, anche se ciascuno di essi mi ha donato un “tassello” da mettere al suo posto nel complesso mosaico di questo lavoro. Queste esperienze, tutte insieme, hanno reso più forte una mia convinzione che è via via maturata nel tempo, ovvero il fatto che il mondo, in generale, sia un posto molto migliore di quello che normalmente siamo abituati a credere: ci sono tantissime persone disponibili ad aiutare il prossimo e, proprio per questo, penso bisogna imparare a non mai avere paura di chiedere l’aiuto che ci serve.
Hai scelto di sostenere FSHD Italia di cui sei Vice Presidente con questo disco: come è avvenuto l’incontro con l’associazione e cosa ti ha colpito della loro missione?
Come dicevo prima, è stata una scelta naturale, con rapporto quasi simbiotico tra le parti; infatti se, da un lato, la musica da me composta e suonata potrà sostenere l’Associazione, dall’altro è proprio l’Associazione che, con la forza dei suoi iscritti ed il supporto della propria organizzazione, ha rappresentato la sede ideale in cui questo progetto potesse prendere forma e raggiungere pieno sviluppo. L’incontro è avvenuto nel 2014 ed è stato a dir poco folgorante: dopo un lungo periodo privo di riferimenti clinici in cui, dopo diverse peregrinazioni in tanti centri, mi ero rassegnato a non essere seguito nella convinzione che la malattia avrebbe comunque avuto il suo inesorabile decorso, mi sono ritrovato improvvisamente in un contesto radicalmente diverso. All’interno dell’Associazione, il binomio straordinario del sostegno alla ricerca scientifica e del supporto per la gestione delle problematiche anche quotidiane legate alla malattia ha trovato davvero una espressione utile ed importante, grazie alla grande competenza dello Staff medico ed alla grande umanità dei rapporti personali: al centro di tutto si trovava davvero il paziente, inteso come persona con problematiche da affrontare e gestire. Con il tempo, ho iniziato anche io a dare il mio piccolo contributo per la crescita dell’Associazione, diventando prima membro del Consiglio Direttivo e, più recentemente, Vice Presidente. È un grande onore per me operare in sinergia con tante persone, anche molto diverse tra loro, ma che hanno tutte in comune uno stesso straordinario obiettivo: trovare una cura per la distrofia muscolare facio scapolo omerale e, fino a che questo nobile fine non sarà raggiunto, adoperarsi per fare in modo che tutti gli affetti possano godere del massimo possibile livello di qualità della vita.
La musica è spesso un ponte tra le persone: quali reazioni speri di suscitare in chi ascolta “Piano Oltre”?
Hai proprio ragione, la musica è, a mio giudizio, la forma di comunicazione più universale che esista, che accomuna ogni uomo, indipendentemente da origine, nazionalità, cultura, età, ruolo, stato sociale, religione ed altro ancora… Mi auguro che il maggior numero di persone possibile possa ascoltare ed apprezzare la musica di “Piano oltre”, raccogliendo anche il messaggio che essa, tra una nota e l’altra, porta con se: un invito alla solidarietà che spero davvero che tante, tantissime persone vorranno accogliere per sostenere la ricerca scientifica per la cura della FSHD.
C’è un brano in particolare all’interno del disco che senti più vicino o che ha un significato speciale per te?
Ogni brano rappresenta un momento importante nella mia vita, ma mi sento di evidenziarne tre in particolare, per motivi diversi. Anzitutto Elena, brano legato a mia figlia alla quale è dedicato tutto il disco e che, non a caso, è il primo della raccolta ed in esso sento forte la bellezza e la contestuale drammaticità dell’idea che non bisogna mai fermarsi, anche dinanzi alle difficoltà più grandi, perché esiste sempre un modo per andare avanti. Questo brano inoltre, proprio come la nascita di un figlio nella vita di una persona, rappresenta un po’ un punto di passaggio anche nel mio stile, una sorta di “ponte” tra i brani composti durante la mia adolescenza o giovinezza e quelli scritti solo pochi mesi fa. Tra i primi, quelli più “vecchi”, vorrei evidenziare “trepidazione emotiva”, sicuramente uno dei brani che ho amato e suonato di più ed al quale mi sento visceralmente legato ed affezionato, perché rappresenta un vero e proprio “pezzo” della mia vita. Tra i più recenti, invece, vorrei evidenziare “il valzer dell’aria”, che ha segnato per me una rivoluzione, un nuovo corso del tutto inimmaginabile fino a poco tempo fa e che, tuttavia, mi ha coinvolto totalmente e con una potenza propulsiva davvero entusiasmante, senza la quale, probabilmente, questo album non sarebbe mai esistito.
Hai già avuto dei riscontri da parte del pubblico? Qualche messaggio che ti ha emozionato o sorpreso?
Per i motivi che ho già raccontato, sino ad ora, le mie composizioni sono state suonate in pubblico molto raramente, ragion per cui posso rispondere alla domanda solo evidenziando l’effettiva carenza di questo importante riferimento. Tuttavia, mi sento di dire che le numerose persone che, a diverso titolo, hanno ascoltato i brani dell’album per supportarne la produzione (che, dal mio punto di vista, rappresentano già un piccolo pubblico) sono rimaste tutte favorevolmente colpite: con mio grande stupore, molti mi hanno detto che si tratta di musiche che potrebbero essere bene utilizzate come colonna sonora di film, altri addirittura mi hanno accostato ad importanti compositori del passato, veri e propri “mostri sacri” che preferisco non citare per non scadere nella blasfemia… A parte lo stupore di cui ho già detto, evidentemente questi giudizi mi hanno parecchio emozionato e lusingato.
A proposito di rapporto con il “pubblico”, come lo hai vissuto sinora?
Come ho già spiegato, non penso di essere un artista e neppure un vero e proprio musicista, nonostante qualcuno la veda diversamente. Il rapporto con il pubblico (ed il relativo giudizio) non mi ha mai preoccupato particolarmente, perché ho sempre percepito e vissuto la musica come un momento di gioia e di unione con il prossimo, con una naturale predisposizione soprattutto per gli aspetti ludici, divertenti ed “aggreganti” della stessa: ad esempio, mi è capitato diverse volte di improvvisarmi “musicista dell’occasione” solo per la mia curiosità di provare un pianoforte trovato per caso in un locale per una festa o in residenze di amici. Suonare in simili contesti senza una “scaletta” o un programma, senza uno spartito, ma solo perché qualcosa ti viene in mente o ti viene richiesto e non per esibizionismo, ma solo per il piacere di stare insieme, meglio ancora se cantando con le persone che hai vicino, è qualcosa che mi è sempre piaciuto fare e che non mi ha mai messo in difficoltà. In questi contesti ho suonato sempre serenamente, semplificando ove possibile, improvvisando per assecondare il gusto ed il coinvolgimento dei presenti ed anche sbagliando frequentemente, ma sempre con il sorriso sulle labbra e con il desiderio di non fermarmi e di andare avanti e, soprattutto, senza percepire alcuna “pressione” su di me, forse anche perché “libero” da obiettivi rigorosi e qualitativi che, invece, immagino, esistano naturalmente per qualsiasi “professionista”. Paradossalmente la consapevolezza di non essere un musicista, mi ha aiutato a mantenere bassa l’asticella delle aspettative ed a suonare serenamente, inducendo in me quel pizzico di “sana incoscienza” di cui parlavo prima…
Ma ora che questo progetto è diventato realtà la situazione è un po’ diversa… cosa cambierà nel concreto? Sbaglio o ci sono già in programma eventi importanti per la diffusione e la promozione?
No, non sbagli: uno di questi è anche molto vicino. L’organizzazione di Fondazione Telethon, nell’ambito della Manifestazione Walk of Life 2025 che si terrà a Catania dal giorno 1 al 4 Maggio 2025, mi ha dato infatti la straordinaria opportunità di suonare su un grande palco che sarà allestito in Piazza Università, meravigliosa location proprio nel centro storico della città dove vivo. Sono davvero molto grato ed entusiasta per questa grande occasione anche se, non nascondo, mi tremano un po’ i polsi per l’emozione… è una cosa nuova per me e spero davvero di essere all’altezza il 2 Maggio pomeriggio, quando toccherà a me… Sto facendo e farò tutto il possibile per migliorare le mie esecuzioni al piano, ma sto maturando anche un pensiero che spero possa garantirmi, anche in questa occasione, la serenità di cui parlavo prima: l’importante non è suonare bene (anche se darò ovviamente il massimo) ma esserci, per trasmettere al pubblico che vorrà accoglierlo il messaggio che viaggia con questa musica.
Tuttavia oggi è difficile parlare di pubblico senza fare riferimento anche ai social network… che rapporto hai con queste tecnologie?
Per l’età che ho, non sono un nativo digitale, ma ho sempre avuto un buon rapporto con la tecnologia, che mi ha sempre appassionato. Non nascondo, tuttavia, qualche difficoltà con i social di cui ho ben compreso le enormi potenzialità, anche se ritengo di non esserne un buon utilizzatore, ma, piano piano, mi impegnerò a migliorare anche su questi aspetti.
Guardando al futuro, pensi di proseguire su questo binario che unisce arte e impegno sociale? Hai già in mente nuovi progetti?
Certamente! Anzi, mi fa piacere che tu mi abbia rivolto questa domanda perché, in realtà, ho già in mente un altro progetto simile, anche se profondamente diverso dal punto di vista dello stile. Con l’album “Piano oltre” ho raccolto le mie composizioni al pianoforte, ma in realtà ne ho tante altre che ho fatto nel tempo mediante tastiere elettroniche e che hanno sonorità decisamente pop/rock anni 80/90… Sto pensando di mettermi al lavoro per recuperare e mettere “in produzione” anche queste: ci vorrà un po’ di tempo e certamente dovrò superare nuove e diverse difficoltà, ma, su alcuni aspetti, ho acquisito negli ultimi mesi competenze che, penso, potranno essermi utili anche per questo. Dal mio punto di vista, imparare a continuare a guardare il futuro con ottimismo e con un sorriso è molto importante ed il binario di cui parli, quello che unisce impegno sociale ed arte, gioca un ruolo fondamentale in questa partita che non sempre è semplice giocare. D’altra parte, “Piano oltre” non deve essere erroneamente interpretato come un “testamento” di una persona che si avvicina alla vecchiaia, ma, al contrario, come l’inizio di una nuova sfida che permette di andare avanti insieme, con l’invincibile forza della solidarietà e del sostegno del prossimo.
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